Se a dicembre sono nato la prima volta, qui sono rinato: una nuova vita mi è stata data ed è iniziata.
Mi ricordo che Cecilia, questo è il nome di colei che ha visto in me tanta voglia di vivere normalmente nel mondo dei normali, mi guardò subito con intelligenza, non con compassione, né con ribrezzo.
Mi osservò con un sorriso che diceva: adesso mi tiro su le maniche e ci penso io a te. E così è stato.
Ha visto in me delle mani che potevano fermarsi e dirigersi verso lavori sensati, non verso atti stupidi e che potevano essere controllate da una testa non vuota ma ben funzionante e da un cuore che batteva forte per la vita.
Questo incontro è stato fatidico, è stato un dono del Signore sia per me, per riuscire a vivere come una persona vera, non nascosta perché diversa, sia per i miei genitori, per iniziare ad accettarmi come Alberto e non come un dramma.
Abbiamo iniziato tutti un cammino, lento, tormentato, che continua ancora oggi e probabilmente proseguirà finché avrò vita.
Cecilia e tutto il «Grillo Pensante» hanno visto in me una testa che aveva pensieri di bambino normale e una bocca da cui non potevano uscire, se non con molta pazienza e tanto allenamento.
Così ho imparato a usare il computer, che fino allora per me era solo uno strumento che si utilizzava negli uffici. Quel giorno ho capito che sarebbe diventato la mia penna, la mia voce, la mia modalità d’espressione e la mia valvola di sfogo.
Nessuno mi toglierà mai il ricordo di quel giorno, sarebbe come togliere un mattone a una casa, lo stelo a un fiore.


Tratto da “Un leone in gabbia”